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Immagine del redattoreGiovanni Tronchin

Zeno Raboso, il vino nel sangue!

Primo capitolo del nostro romanzo domenicale a puntate dedicato alla vita e alla formazione enologica di un lavoratore e bevitore.


In principio fu la degustazione


Da quando aveva imparato le parole barricato e millesimato, senza capirne esattamente il significato e collocando ogni volta le doppie in punti diversi, Zeno Raboso si spacciava per un intenditore di vini.


Veniva dal Basso Piave, terra del Veneto Orientale dove il vino scorre nelle vene. Aveva iniziato presto ad assaggiare il vino, poco più che bambino, intrufolandosi di nascosto nella cantina di suo papà dove non esistevano bottiglie da 0,75 con etichette e tappi di sughero, ma solo anonimi bottiglioni da due litri di rosso e bianco con tappo a corona. E aveva così scoperto che non gli dispiaceva affatto quel succo d’uva, al quale si era però appassionato pienamente e definitivamente solo in età adulta, spinto anche dai consigli e dalle informazioni che l’oste del bar della piazza distribuiva a braccio dal bancone, quasi sempre senza cognizione di causa. Non gli dispiaceva nemmeno la birra, ma quando andava a ordinare da bere, che fosse tardo pomeriggio o mezzanotte, Zeno rimaneva come sospeso, non ricordava più nessuno dei nomi di vini che aveva sentito e sapeva solo dire prosecco. Al massimo, se si ricordava, aggiungeva millesimato, incontrando lo sguardo severo del barista. Poi gli spiegava che millesimato stava per un vino ottenuto da uve vendemmiate nello stesso anno. E allora lo sguardo del barista passava da severo a confuso e poi incredulo.


Zeno Raboso, con un destino intrinsecamente tracciato dal suo cognome che derivava da una numerosa famiglia di mezzadri nel dopoguerra, come tutte le mattine stava mettendo in moto la sua Fiat Punto, modello base, non molto recente, quello senza i finestrini elettrici per intenderci. Non partiva mai al primo colpo, ma lui la conosceva bene e, sospirando qualche imprecazione, la auscultava e non mollava finché non si metteva in moto. Alle 7 precise arrivava sempre in capannone, al lavoro. Pronto, reattivo, in attesa di sentire dalla voce del suo titolare Anacleto quale nuovo intervento lo attendesse. Perché Zeno di professione era un perito meccanico, poco perito e molto meccanico come soleva sottolineare a chi gli chiedeva che lavoro facesse. Aggiustava i guasti di grossi motori di impianti vari, era specializzato in riparazioni di motori per macchine operatrici, industriali e da cantiere, motopompe e gruppi elettrogeni.

La voleva cambiare quella Punto, era vecchia e non faceva una gran figura. Ce l’aveva da 14 anni. Poi Zeno era ancora un single, 45 anni portati discretamente, un bell’uomo tutto sommato, un tipo che poteva piacere e una macchina più recente lo avrebbe sicuramente agevolato, anche perché per lui Tinder era una parola sconosciuta o che, al limite, gli ricordava uno snack più che un social network.


Però da circa cinque anni, da quel giro a Montalcino con gli amici, tante cose erano cambiate. In Toscana aveva assaggiato per la prima volta vini diversi dal cabernet da tavola e dal prosecco, che beveva come l’acqua minerale. Ma, soprattutto, si trattava di vini buonissimi, che nemmeno immaginava potessero esistere. E costosissimi, almeno per i suoi standard. Da allora aveva iniziato a spendere un sacco di soldi in bottiglie di vino. E così non riusciva più a mettere da parte il gruzzoletto necessario all’acquisto di una nuova (o anche usata) vettura. Non è che guadagnasse moltissimo Zeno, però tra gli straordinari e le trasferte, si portava a casa una paga più che dignitosa. Ma dopo Montalcino, dopo le degustazioni (non ne aveva mai fatto una prima), voleva bere solo roba di qualità. Zeno era cambiato.


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