Secondo capitolo del nostro romanzo domenicale a puntate dedicato alla vita e alla formazione enologica di un lavoratore e bevitore.
La sciabolata al pranzo domenicale
Le bollicine erano decisamente la sua passione. A Zeno il vino piaceva tout court. Le bollicine però erano il top. Lo solleticavano anche nell’intimo, gli davano sensazioni bellissime, un vero piacere, anche fisico.
Che perlage!, amava esclamare dopo un’avida sorsata di mezzo bicchiere fresco. Quando però si confrontava con amici e conoscenti che di vino ne sapevano decisamente più di lui, sentiva sempre solo declamare le caratteristiche di rossi importanti, di metodi ancestrali, di vini biologici, con parecchi anni di affinamento e mai nessuno che si soffermasse sulle qualità degli spumanti. Non dico il prosecco, che qui in campagna lo abbiamo sempre bevuto, ma almeno il Franciacorta, che a Zeno Raboso, siccome veniva dal bresciano, suonava esotico e preziosissimo.
Avvertiva la brutta sensazione che le bollicine piacessero soprattutto a chi di vino ne capiva poco, ma allo stesso tempo se ne fregava, perché lui, a dirla tutta, beveva non solo per piacere, ma per sete, una sete atavica che non riusciva a smorzare. E su questo fronte le bollicine lo aiutavano, erano una bibita fresca e dissetante e non solo nei mesi caldi. Quando rientrava a casa dal lavoro, di solito verso le 18, la prima cosa che faceva era aprire il frigo in garage e riempire di succo di glera un bicchiere grande da frappè.
Poi un giorno, a un matrimonio, gli capitò di vedere qualcosa che lo colpì molto. Lo sposo, ad un certo punto della festa, anziché stappare uno spumante con le mani, tagliò il collo della bottiglia con una spada. Un gesto preciso e deciso, una scena plastica che ipnotizzò Zeno. Si chiama sciabolare, gli disse il suo vicino di tavolo che aveva colto il suo stupore. Quando apri una bottiglia di spumante, continuò il tizio, il tappo raggiunge i 75 km orari. Pare che il record sia di un tappo di champagne che ha raggiunto i 106 km/h. Gli stava raccontando che una volta aveva visto uno che aveva sciabolato con un cucchiaino, mentre un’altra volta uno aveva voluto esagerare provandoci con un bicchiere e si era squarciato la mano. Cose che succedono, ma prima o poi bisogna provare a sciabolare e Zeno già non vedeva l’ora.
Così aveva addirittura approfondito l’argomento scoprendo che la sciabolata nacque come usanza nelle truppe napoleoniche che per festeggiare le vittorie aprivano le bottiglie di Champagne con la loro spada. Aveva poi scoperto che, al di là della tecnica, era fondamentale che la bottiglia fosse fredda, più è fredda e maggiori sono le possibilità di sciabolare bene, con un taglio netto e senza schegge.
E l’occasione arrivò. Zeno Raboso viveva in una casa singola risalente a metà degli anni ’60, in mezzo alla campagna con altre cinque case nelle vicinanze. La casa era su due piani, al piano terra vivevano i suoi genitori settantenni, mentre lui occupava, quasi esclusivamente per dormire, il primo piano. La domenica a pranzo la taverna dei genitori di Zeno diventava un porto di mare. Arrivavano parenti, amici e vicini di casa attirati dal fumo che usciva dalle griglie che entravano in funzione già alle 11.30. E si mangiava e beveva come se non ci fosse un domani, a discutere di politica, di schei (soldi, in dialetto veneto), di calcio e ovviamente di vino. Era la domenica di Pentecoste quando Zeno avvisò i commensali dicendo che avrebbero assistito a qualcosa di inedito. Tirò fuori dal frigo una bottiglia di prosecco freddissima e slegò la gabbietta che avvolgeva il tappo. Poi prese un lungo coltello da salumi e, dopo averlo sfregato quattro volte sul collo della bottiglia, diede un movimento secco alla lama e sciabolò. Un colpo perfetto. Rimasero tutti a bocca aperta a seguire con lo sguardo quel tappo con collo di bottiglia annesso, che finì la sua lunga traiettoria sulla porta vetrata del mobiletto del vecchio stereo, frantumandola. Il rosario e il calendario di santi che seguì superò il limite di decibel consentiti. Tutta colpa delle bollicine pensò Zeno.
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