Assaggi "piroclastici": il Caciocavallo campano da latte di vacca podolica, affinato nelle grotte di tufo, con il Lacryma Christi bianco del Vesuvio Doc di Villa Dora
Continuiamo con la nostra rassegna dedicata ai formaggi parlando di una pasta filata del sud, emblema di biodiversità.
Se tutte le tipologie di caciocavallo rimandano all'usanza storica di lasciar stagionare le forme a coppie, legate da una corda e appese per la testina a cavallo di una trave, il caciocavallo “podolico” si distingue ulteriormente per la sua derivazione dall'omonima razza di vacca dalle peculiari caratteristiche. Poco produttiva rispetto ad altre razze vaccine, dal fisico robusto e dalle bellissime corna attorcigliate, nella femmina, la podolica si è diffusa soprattutto nelle aree più aspre e impervie dell’appennino meridionale, grazie alla sua capacità di adattarsi agli ambienti difficili e di cibarsi di arbusti, cespugli e sottobosco.
Viene allevata in aziende di piccola o media dimensione, in maniera “estensiva”, ovvero, lasciando gli animali liberi o semiliberi, in pascoli recintati, rispettando i ritmi naturali di riproduzione e la naturale alimentazione a base di erba per buona parte dell’anno, con eventuali piccole integrazioni di cereali e fieno. A questa conduzione sono strettamente collegate sia l’aromaticità che la qualità del latte, ricco di proteine e grassi nobili – i cosiddetti "acidi linoleici coniugati" (CLA) – presenti soprattutto nel latte proveniente da pascoli e alpeggi. E’ un metodo di allevamento sicuramente più etico di quello intensivo, che salvaguardia la biodiversità di questa razza.
Non a caso, il Ministero delle politiche agricole ha deciso di valorizzarne i prodotti, inserendo le sue carni e i formaggi derivanti dal suo latte nell'elenco dei “PAT”, i Prodotti Agroalimentari Tradizionali. Tra le chicche casearie, non sempre facilmente reperibili, abbiamo avuto l’occasione di assaggiare il caciocavallo podolico campano, stagionato in grotta, come spesso accade, poiché le cavità scavate nel tufo offrono condizioni ideali di umidità e temperatura per l'affinamento.
La ricca cagliata di latte intero e crudo viene trasformata dai casari in pasta filata, con una gestualità che rimanda a una danza antica: in coppia, plasmano e tirano la pasta in cordoni lunghi oltre un metro, poi la ricompattano e la modellano nella classica forma a pera con la testina, la cui foggia rappresenta il tocco personale dei casari. Viene poi stagionata sei mesi e oltre, periodo durante il quale il colore giallo paglierino tende a scurirsi, la pasta si fa più dura e “scagliata”, gli aromi si accentuano, mentre la persistenza diventa difficile da domare. A seconda del caglio utilizzato, se di capretto anziché di vitello, si avrà anche una progressiva nota piccante durante la stagionatura.
Il nostro caciocavallo, affinato circa 6 mesi, ha un colore giallo carico, sprigiona un intenso profumo di burro fuso e rimanda al pascolo, con sfumature di fiori e piante aromatiche, su un leggero sfondo di brodo di carne e accenni tostati. La permanenza nelle grotte di stagionatura gli ha conferito interessanti note di terra umida, fungo e cantina. In bocca la tendenza dolce è pronunciata, accompagnata dalla grassezza, ma ben equilibrata da una stuzzicante nota sapida, che persiste insieme ai rimandi burrosi. Difficile staccarsene, se non per abbinarvi un bicchiere di vino.
Lo scegliamo nel ricco patrimonio dei vini campani, fra i bianchi del Vesuvio, sia per una similitudine di suolo – il tufo delle grotte di stagionatura è una roccia piroclastica – che per il contrasto fra l’atteso asse acido-sapido del vino e la ricca grassezza del formaggio. Al contempo, però, optiamo per un’annata vecchia, la cui potenziale morbidezza possa mitigare la sapidità del formaggio. Ad esempio, il Lacryma Christi DOC Bianco Vigna del Vulcano 2006 della Cantina Villa Dora.
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