Il grande poeta italiano, Premio Nobel per la letteratura, ci racconta un grande amore per il vino.
La striscia di terra del livornese che si affaccia al Mar Tirreno dalla modesta altura delle sue colline, entrando in punta di piedi in Maremma, è per gli appassionati di vino, e non solo, uno dei luoghi enoici italiani più importanti. E’ la terra dei cosiddetti Super Tuscan, vanto nazionale che ha conquistato tutti i mercati esteri contribuendo alla buona fama dei vini italiani nel mondo. Ed è sicuramente un luogo in cui il vino e la letteratura hanno contribuito in maniera fondamentale alla sua evoluzione.
Non è un caso, infatti, che da queste parti, come ricorda la toponomastica, visse uno dei più grandi poeti italiani di sempre, Premio Nobel per la Letteratura nel 1906, Giosuè Carducci. Oltre un secolo prima dell’affermarsi dei famosi vini locali, lungo la famosa Strada dei Cipressi che porta fino a Bolgheri e sulle vie di campagna nei pressi di Castagneto Carducci, dove sorgono note e importanti cantine, Carducci visse la sua infanzia.
Siamo a metà dell’Ottocento e in questo territorio il poeta attinse molti degli spunti elegiaci presenti nelle sue opere. Qui entrò inevitabilmente in contatto con il «ribollir de’ tini» a lui caro, diventando appassionato intenditore e gran bevitore del vino che è presente in moltissimi dei suoi scritti, dalle poesie alle lettere private. E ai piedi della collina Castagnetana si consumarono molte bevute e incontri galanti del poeta.
Era anche un’ottima forchetta e amava abbinare le pietanze (la cacciagione da lui stesso procurata, in particolar modo) ai calici. Pare comunque che tra tutti i vini il suo preferito fosse il lambrusco, secondo lui adatto a tutto, anche ai formaggi e al pesce.
Anche la barbera, pur essendo lui toscano, è un vino citato nella poesia di Giosuè Carducci: “Generosa Barbera. Bevendola ci pare d’essere soli in mare sfidanti una Bufera”.
Un altro rosso che beveva con piacere era il Sangiovese invecchiato, celebrato nella poesia “Brindisi” (Juvenilia, Libro VI) con il nome poetico di “Lieo”, che significa “Dio del Vino”. Ce lo conferma in una lettera anche un altro monumento della letteratura italiana, Giovanni Pascoli, collega di penna e di bicchiere: “Carducci fu qua e venne a farci grande onori….. Mariuccina [la contessa che li ospitò nella sua tenuta] però rimase male quando fece il conto… di cantina. Mancavano all’appello diverse bottiglie di Sangiovese”. Due belle "spugne" insomma!
Parlando fuori dai denti, a Carducci piaceva bere a tal punto che, per le collaborazioni alla rivista letteraria Cronaca bizantina, si faceva pagare in Vernaccia a barili. E, per non farsi mancare nulla, non disdegnava nemmeno liquori e distillati, in particolare il Gin, che scoprì quasi casualmente, ma che gli piacque così tanto da dedicarci una poesia, “Gin e ginepri”:
Quanto azzurro d’amori e di ricordi, Gin, infido liquor, veggo ondeggiare Nel breve cerchio onde il mio gusto mordi: O dolci selve di ginepri, rare, A cui fischian nel grigio ottobre i tordi Lungo il patrio, selvaggio, urlante mare!
Chiudiamo ovviamente con la celeberrima e immortale San Martino, poesia imparata da bambini sui banchi di scuola, ma probabilmente memorizzata dai più grazie alla versione musicale che ne fece Fiorello negli anni Novanta (https://www.youtube.com/watch?v=FmXhWr17uJ8):
La nebbia a gl’irti colli piovigginando sale, e sotto il maestrale urla e biancheggia il mar; ma per le vie del borgo dal ribollir de’ tini va l’aspro odor de i vini l’anime a rallegrar. Gira su’ ceppi accesi lo spiedo scoppiettando: sta il cacciator fischiando sull’uscio a rimirar tra le rossastre nubi stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar.
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