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Immagine del redattorePaola Marcone

L'aperitivo tra arte e design

Il World Aperitivo Day celebra il momento della giornata più spensierato e rilassante, che identifica un certo stile di vita italiano.

Per noi di Zenomag un’occasione per ripercorrere qualche tappa della storia di questo rito quotidiano attraverso il suo legame con l’arte e il design.

Alla voce “aperitivo” l’enciclopedia Treccani spiega che si tratta di una bevanda per lo più alcolica che ha effetto di stimolare l’appetito o, talora, anche di favorire la digestione”.

Del resto che l’alcol e in particolare il vino aromatizzato sia stato da sempre utilizzato come rimedio per svariati malanni ce lo racconta la storia stessa della medicina, a partire dagli insegnamenti di Ippocrate, Galeno e della Scuola Medica salernitana riconosciuta come la più importante istituzione medica del Medioevo.

Il concetto moderno di aperitivo come bevanda non tanto dalle funzioni curative ma da consumare prima dei pasti in circostanze conviviali nasce, però, nel 1786, quando a Torino Antonio Benedetto Carpano inizia a produrre un vino aromatizzato principalmente con l’Assenzio maggiore (il nome scientifico è Artemisia absinthium), chiamandolo Vermut.

Particolarmente amato da Vittorio Amedeo III di Savoia, questo vino amaricante e corroborante diventò presto bevanda di corte e, quindi, di gran moda in tutta la Torino sabauda.

Anche a Milano il consumo di aperitivi inizia a diffondersi con successo a partire dagli inizi dell’Ottocento.

E’ il 1815, infatti, quando Ausano Ramazzotti prova miscele con diversi ingredienti, come scorze d’arancia dolce italiana, genziana, rabarbaro, curcuma e rosmarino. Nasce, quindi, l’Amaro Ramazzotti, il primo aperitivo non a base di vino e con una ricetta di 33 spezie, erbe, fiori e frutti, mantenuta ancor oggi segreta.

Negli stessi anni i produttori di vino Martini e Rossi, piemontesi, iniziano a produrre vermut da uve moscato in miscela con erbe aromatiche e, a Novara, Gaspare Campari inventa la bevanda che diventerà famosissima in tutto il mondo con il suo stesso cognome. Anche il Campari, a base di erbe, mantiene la caratteristica del gusto amaricante tanto da essere chiamato con la parola tedesca bitter, amaro.

Carpano, Ramazzotti, Martini e Rossi, Campari, quindi. Un elenco di nomi che ormai costituiscono ben altro che marchi commerciali, identificandosi con la storia del costume italiano: le insegne Ramazzotti e Campari sui bar milanesi a piazza Duomo, il cocktail MITO (Milano–Torino) nato a metà dell'Ottocento dall’unione di Vermut e Campari, le campagne pubblicitarie lanciate gli inizi del Novecento da Ramazzotti con famosi illustratori come, tra i tanti, Marcello Dudovich, così come storia sono ormai le pubblicità di Mauzan per Carpano o quelle più recenti di Armando Testa per Martini e Rossi.

Pilastri del design italiano sono poi i lavori per Campari di Leonetto Cappiello e successivamente di Fortunato Depero, che realizza la mitica bottiglietta a forma di triangolo e i manifesti pubblicitari dallo stile strutturato e meccanico proprio dei canoni del Futurismo.

Futurismo che, addirittura, nel Manifesto della cucina italiana pubblicato da Filippo Tommaso Marinetti nel 1931 elenca un formulario per ristoranti e quisibeve (e non bar), proponendosi di rileggere in chiave autarchica anche le polibibite (non cocktail) da servire utilizzando solo vini e liquori tradizionali italiani e concepite per stimolare l’azione, quintessenza del movimento futurista.

Una polibibita "Snebbiante" doveva, così, liberare la mente e prepararla alle decisioni, bere un’"Inventina" stimolava invece la creatività, servire una "Guerrainletto" era una chiara dichiarazione di intenti afrodisiaci mentre ordinare una "Paceinletto" era auspicio di un facile sonno.

In ogni caso “La dosatura sommaria di molte di queste formule non deve preoccupare ma bensì eccitare la fantasia inventiva dei cuochi futuristi i cui eventuali errori potranno spesso suggerire nuove vivande”, così si legge nel testo di Marinetti, proprio a sottolineare come anche da questo punto di vista l’esperienza futurista è azione e cambiamento.

Dinamismo visionario, del resto, che ha accompagnato anche la creatività di Bruno Munari nella realizzazione della “Declinazione grafica del nome Campari”, un poster realizzato nel 1965 per essere affisso nelle stazioni ed essere letto dai vagoni in corsa in occasione dell’allora appena inaugurata M1 milanese.

Oggi quel progetto, espressione del fervido periodo vissuto sull'onda del miracolo economico italiano post bellico è permanentemente esposto al MoMa di New York e in qualche modo ha anticipato l’edonismo grintoso degli anni Ottanta che ben si identificava con lo slogan “Milano da bere”, lanciato nella storica campagna pubblicitaria da Ramazzotti.

Anche Federico Fellini ha prestato la propria arte per realizzare un famoso spot nel 1985 sempre per Campari, mentre più di recente è Paolo Sorrentino ad aver firmato le campagne televisive “Red Passion” del bitter milanese.

Senza dimenticare lo spot che a metà degli anni Ottanta ha regalato notorietà a una giovane Charlize Theron grazie a Martini e Rossi.

Insomma la storia dell’aperitivo italiano è la testimonianza di come la creatività dell’arte grafica e visiva (anche nelle forme più moderne) si sia sempre posta in qualche modo al servizio di questo fenomeno di costume, riuscendo a rappresentarne in pieno, nelle diverse epoche, l’anima vitale.

Proprio in occasione del World Aperitivo Day, quindi, ci è piaciuto ricordare questo legame originale che tanto racconta dell’estro italiano e di un certo modo scanzonato di affrontare la vita.

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