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L’Istituto Grandi Marchi e i fine wines italiani

Immagine del redattore: Paolo ValentePaolo Valente

In un’indagine Nomisma, il punto sul mercato dell’export verso gli USA.

Istituto Grandi Marchi

L’Istituto Grandi Marchi celebra il suo ventesimo anniversario di fondazione con uno studio effettuato da Nomisma Wine Monitor che analizza l’evoluzione e prospettive dei fine wines italiani nel mondo.

L’Istituto Grandi Marchi (IGM) raccoglie 18 famiglie storiche del vino che sono leader dei loro rispettivi territori e sono impegnate nella salvaguardia dei valori aziendali e nel trasferimento intergenerazionale. Sono cantine che fondano il loro essere sul legame tra l’uomo e la sua terra, tra famiglia e territorio; fanno parte dell’IGM le aziende: Ambrogio e Giovanni Folonari Tenute, Antinori, Argiolas, Ca’ del Bosco, Carpenè Malvolti, Col D’Orcia, Donnafugata, Jermann, Lungarotti, Masi, Mastroberardino, Michele Chiarlo, Pio Cesare, Rivera, Tasca D’Almerita, Tenuta San Guido, Tenuta San Leonardo, Umani Ronchi.

Le imprese associate all’IGM hanno una forte vocazione all’export che vale, globalmente nel 2023, 362 milioni di euro pari al 55% del fatturato complessivo.

L’indagine che Nomisma ha svolto si è concentrata sul mercato americano, il più importante per gli associati a IGM che corrisponde al 27% del fatturato verso l’estero. Sono stati intervistati 2500 consumatori tra i 21 e i 65 anni residenti negli Stati di New York, Florida, New Jersey e California con l’obiettivo di meglio comprendere cosa sta accadendo al vino italiano e come si evolve il valore percepito dei consumatori e quali sono le prospettive per il futuro.

I risultati della ricerca

A livello generale, il mercato americano si conferma il primo mercato al mondo per i consumi di vino e l’Italia gioca un ruolo primario come secondo fornitore dopo la Francia; seguono a grande distanza Nuova Zelanda e Spagna.

Ecco qualche altro interessante risultato scaturito dall’indagine.

I consumatori USA definiscono riconoscono un vino come “fine wine” per il suo prezzo, per il marchio storico che lo produce e per la qualità intrinseca. Il consumo del vino avviene prevalentemente a casa e il vino preferito è rosso e fermo anche se le bollicine stanno riscuotendo sempre maggior successo.

Le caratteristiche che gli americani ricercano maggiormente in un fine wine sono l’invecchiamento, l’essere un vino fermo e di corpo e dall’alta gradazione alcolica.

I fattori che incidono sulla scelta al momento dell’acquisto sono principalmente il brand, il passaparola e i riconoscimenti ottenuti dai vini. Non dimentichiamo poi la componente emotiva che guida gli acquisti di chi è stato in Italia per turismo e quindi ha potuto conoscere i nostri vini in modo diretto o di chi ha origini Italiane.

Un dato incoraggiante per il nostro Paese è che i fine wines esteri consumati maggiormente dai consumatori americani provengono dall’Italia, segue la Francia e la Spagna.

Anche a livello di qualità percepita dei fine wines l’Italia batte, anche se di poco, la Francia.

In particolare, i vini italiani vengono riconosciuti per Classe ed eleganza, storia e tradizione, versatilità ed esclusività e lusso.

In America tre quarti dei consumatori di vino sarebbero interessati a provare un fine wine italiano.

Le difficoltà

In questo quadro incoraggiante per il nostro mercato dei vini nel settore di alta qualità non si devono però dimenticare alcuni ostacoli che si presentano nella gestione quotidiana del business. In particolare, la distribuzione sul mercato americano è concentrata in pochi soggetti, le tendenze cambiano velocemente e di conseguenza anche i consumi. Inoltre, si è constata una progressiva diminuzione nella spesa dedicata al vino che ha visto, nel 2024, una riduzione dei fatturati sia a quantità che a volume. Gli spumanti reggono meglio dei vini fermi e l’Italia si conferma il maggior esportatore negli USA a volume (grazie al prosecco) mentre la Francia primeggia a valore.

Il turismo del vino

In tutto questo si innesta l’ambito del “Turismo del vino” che non può essere banalizzato ma deve creare un link forte tra consumatori e territorio. Il turista deve poter fare un’esperienza nel territorio e la visita in cantina non deve ridursi ad un solo momento di accoglienza e degustazione ma dovrebbe essere un’esperienza sfaccettata e su tanti e diversi piani (culturale, naturalistico…) che possa portare anche ad un engagement, a un’affezione per i valori trasmessi, a un legame forte con il territorio e la cantina.

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