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Immagine del redattorePaola Marcone

L’impatto idrico in viticoltura: un vino veramente sostenibile deve fare buon uso dell’acqua

La Giornata mondiale dell’acqua è l’occasione per riflettere sulle sfide che la produzione di vino si trova ad affrontare nell’utilizzo delle risorse idriche tra cambiamenti climatici e nuovi modelli di gestione.

Il 22 marzo è da ormai diversi decenni la Giornata mondiale dell’acqua e quest’anno è dedicata alle risorse idriche sotterranee.

L’intento è di “rendere visibile l’invisibile” e, quindi, mettere in luce le problematiche sempre più gravi che minacciano le falde acquifere, fonti essenziali per qualunque produzione agricola.

Siccità, alluvioni, frane, innalzamento delle temperature, cuneo salino sono solo alcune delle conseguenze dei più vari fenomeni climatici, spesso estremi, che anche chi non è esperto della materia ormai conosce.

È notizia di questi giorni, per esempio, che ad oggi non piove in Lombardia da più di 3 mesi e Coldiretti avverte che la siccità del Po sta mettendo a rischio 1/3 delle produzioni agroalimentari italiane.

Certo quando parliamo di viticoltura siamo portati a pensare che la questione dell’utilizzo dell’acqua sia meno rilevante, se non altro perché la Vitis vinifera sopporta decisamente meglio un eventuale stress idrico rispetto ad altre coltivazioni.

Ma si tratta di una magra consolazione e per di più apparente, perché ormai anche la vite deve fare i conti con fenomeni come la forte evapotraspirazione dovuta alle ondate di calore, con notevole influenza sia sulle rese che sulla qualità organolettica delle uve.

Non a caso la pratica dell’irrigazione, tradizionalmente vista con sospetto perché in viticoltura identificata come forzatura agronomica, è ormai considerata anche a livello legislativo italiano una pratica di soccorso e, quindi, una necessità ammessa, di cui tenere conto nei disciplinari di produzione.

Altrettanto significativi, poi, sono i progetti di ricerca mirati a valorizzare la disponibilità delle risorse idriche nei vigneti.

Si tratta di studi finanziati da fondi europei anche di carattere transfrontaliero come il progetto Aquavitis che coinvolge il comprensorio vitivinicolo italiano e sloveno oppure il progetto di ricerca sulla Valorizzazione della Risorsa Idrica per la Viticoltura (VARIVI), realizzato ad Ischia con la collaborazione di Regione Campania, Università di Milano e di Napoli nonché di aziende produttrici.

Il tema dell’uso consapevole dell’acqua, quindi, è più attuale che mai in viticoltura e non così secondario come si sarebbe potuto credere.

Questo anche nell’ottica della sostenibilità, se solo si considera che, dalla coltivazione in vigna fino allo smaltimento e riciclo delle bottiglie, ogni fase della catena produttiva comporta un significativo consumo di acqua.

Modularne quantità e modalità di impiego è diventato un imperativo categorico perché conoscere l’effettivo impatto di ciascuna azienda sull’utilizzo della risorsa è il primo passo per una gestione sostenibile delle produzioni.

I numeri di cui stiamo parlando del resto non sono poi così insignificanti.

La piattaforma Water Footprint Network, nel definire l’impronta idrica come la “misura della quantità di acqua utilizzata per produrre ciascuno dei beni e servizi che utilizziamo”, ha stimato che un bicchiere di vino da 125 ml comporta mediamente nel mondo l’utilizzo di 110 litri di acqua.

Tra i più grandi produttori europei si calcola che l’impatto idrico di Italia e Francia sia di circa 90 litri al bicchiere mentre in Spagna si sale sino a 195 litri.

Di questa quantità totale, la gran parte di consumo riguarda la cosiddetta acqua verde, ossia quella meteorica, dovuta al clima, alle caratteristiche del suolo e alla stagionalità.

Il che è una buona notizia perché maggiore è l’impronta idrica verde, maggiore è la vocazione di un areale alla coltivazione della vite.

Significa, infatti, che lì le piante sfruttano al meglio le caratteristiche climatiche tipiche della zona.

Il restante consumo percentuale interessa, invece, in parte le acque blu ossia quelle prelevate in superfice o sotterranee, impiegate in diverse fasi della produzione (irrigazione, irrorazione di prodotti fitosanitari, lavaggio degli strumenti di vinificazione e così via) e in parte l’acqua grigia ossia il volume di acqua necessaria per diluire gli inquinanti.

Rispetto a questi due dati di consumo, la viticoltura italiana sembra poi essere particolarmente virtuosa.

Secondo uno studio dell’Associazione idrotecnica italiana, infatti, nel nostro Paese l’acqua blu è utilizzata per circa un terzo di quanto fatto nella media mondiale e anche l’acqua grigia ha numeri inferiori.

Un buon punto di partenza, dunque, che pur non permettendo di adagiarci sugli allori in considerazione dei mutamenti climatici sempre più sfidanti, quanto meno ben promette per rendere solidamente concreta la parola sostenibilità.



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