A prescindere dalla sua personalità gusto-olfattiva, il Taleggio DOP meriterebbe l’abbinamento con un vino importante già solo per il suo ruolo nel panorama agricolo, industriale e sociale lombardo.
Originario dell’omonima valle bergamasca, il Taleggio DOP incarna lo stile caseario (e di vita) dei “bergamini”, allevatori semi-nomadi delle alture orobiche e lecchesi, che già nel X secolo scendevano a inizio autunno in pianura padana per svernare col loro bestiame, risalendo poi alle malghe in primavera. Durante la transumanza, producevano dei formaggi detti “stracchini”, così chiamati poiché le mucche erano stanche, “stracc” in dialetto, per il viaggio. Erano prodotti facili da realizzare, non necessitando né del riscaldamento del latte, utilizzato a temperatura di mungitura, né di cottura della cagliata. Erano inoltre facili da trasportare per la distribuzione nelle città.
Tra i vari stracchini (alla famiglia dei quali appartengono il Quartirolo, la Crescenza, il Salva Cremasco e pure il Gorgonzola), il Taleggio riscosse un particolare successo presso i commercianti del milanese, anche grazie alla particolare stagionatura che un tempo si svolgeva nelle grotte della Valsassina, locali di affinamento ideali per temperatura e umidità costanti.
La commercializzazione del Taleggio diede così origine a un florido mercato che pose le basi della futura industria lattiero-casearia lombarda. Non a caso nel XIX secolo divenne noto come “Stracchino quadro di Milano” e solo all’inizio del 1900 il nome venne ricambiato in “Stracchino di Taleggio” e poi solo “Taleggio”, quando si volle fare leva sulla sua origine montana. È del 1988 il riconoscimento della DOP, che definì gli standard della produzione di qualità.
A latte crudo (nelle preparazioni artigianali) o pastorizzato, il Taleggio DOP viene sempre stagionato per un minimo di 35 giorni, durante i quali la crosta viene lavata almeno una volta alla settimana con una soluzione di acqua e sale, che impedisce la formazione di muffe indesiderate favorendo, al contempo, una serie di batteri che donano al formaggio le sue peculiari caratteristiche: l’invitante colorazione rossastra della crosta (da mangiare, al massino dopo una leggera raschiatura), il suo caratteristico ampio spettro olfattivo e, soprattutto, la consistenza cremosa, data dall’evoluzione delle proteine e dei grassi, che viene accelerata dai batteri.
I profumi intensi di lattico cotto, sottobosco, cuoio e tartufo vengono stemperati in bocca da una confortevole avvolgenza. Le papille indugiano a lungo su tutte e quattro le sensazioni saporifere che, nei prodotti ben fatti, si muovono agili come equilibristi tra la spiccata tendenza dolce, la leggera acidità, la voluttuosa grassezza e l’amabile sapidità.
Una ricchezza gusto-olfattiva che si propone in maniera gentile, come una coccola o una carezza, e richiede vini di pari livello, che esprimano carattere ma anche piacevolezza. Un esempio di abbinamento ben riuscito potrebbe essere con il Lugana DOC Riserva Fabio Contato 2015 di Cà Maiol, profumato, complesso e persistente, vivace e della stessa golosa stoffa di cui è fatto il formaggio.
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